Intervista a Matteo Sanna

Quella di Matteo Sanna (1984 Pabillonis, vive e lavora a Milano) è una ricerca antropologica che scava nella memoria collettiva per restituire una sofisticata narrazione per immagini che rivela il forte legame con la natura, il territorio e soprattutto con la sua terra d’origine. Fotografia, scultura, disegno e installazione, realizzati attraverso supporti che vanno dal legno al neon, dalla plastica ai materiali di scarto riciclati, sono congeniali a riflettere esperienze vissute in prima persona e indagare il concetto di distacco come senso di perdita, come avvenimento che si configura come esperienza, evoluzione e crescita fino al distacco come passaggio dalla vita alla morte. Tra nostalgia e rinascita.



Da cosa origina la tua ricerca artistica?
La mia ricerca artistica è legata alla mia costante introspezione. Per me è sempre stato importante il mezzo espressivo artistico come tramite per condividere i momenti, i sentimenti e i desideri legati alla mia vita.

Quali sono gli artisti cui fai riferimento?
I lavori degli artisti che mi hanno interessato maggiormente sono quelli di: Terence Kho, Hans Op De Beeck, Fabio Mauri, Mona Hatoum, Wim Delvoye, Kevin Francis Gray, Gina Pane.

Da cosa deriva l’esigenza di trasferirti a Milano?
Il trasferimento non nasce da un’esigenza particolare ma da un insieme di circostanze che mosse tutte insieme mi hanno portato in questa città.

Artisti si nasce o si diventa?
Secondo me si nasce e si diventa.

Qual è stata la mostra o l’evento decisivo per il tuo percorso?
E’ stata decisiva la visita alla Biennale di Berlino 2006 “Di uomini e di topi”, curata da Massimiliano Gioni, Ali Subotnik, Maurizio Cattelan.

Cosa ti attrae maggiormente della realtà che ti circonda?
La fragilità e l’impermanenza.

Hai partecipato agli eventi collaterali della 54. Biennale di Venezia. Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
Molta soddisfazione. Perché per la prima volta ho potuto realizzare un’installazione, di grande dimensione in un luogo senza barriere né fisiche né mentali, che rispecchiava a pieno il fulcro della mia ricerca.

Quali sono le tue gallerie di appartenenza?
Attualmente The Format – Contemporary Culture Gallery Milano

La tua sperimentazione avviene tra installazione, fotografia e scultura. Quale linguaggio ritieni più congeniale alla tua espressività?
Ritengo che la scelta del media è strettamente connessa alla riflessione che voglio portare alla condivisione, pertanto non ho una preferenza ma ricerco sempre il media che sento più vicino in quel momento.

Quali sono i tuoi riferimenti per musica e cinema?
Per la musica Grace Jones, Marilyn Manson, Placebo, Dj Tiesto, The Tiger Lillies. Per quanto riguarda il cinema L’esorcista (il primo, lo vidi insieme alla mia vicina di casa a 12 anni), L’avvocato del Diavolo, Parla con lei, Ragazze Interrotte e tanti altri.

Quanto c’è della tua terra in quello che crei?
Tutto. E quello che manca è perché manca anche a me.

A cosa lavori attualmente e quali sono i progetti per il futuro?
Attualmente sto collaborando insieme ad altri artisti per la realizzazione di un’installazione permanente in difesa della Cultura e della Ricerca a Roma ed alla mia futura mostra personale. Ma, tra le altre cose, mi piacerebbe molto riuscire a esporre nella mia terra e per la mia terra.

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